È un anonimo pomeriggio di fine anni “90, Friends in TV, nel registratore una MC TDK da 90’ per registrare le tue canzoni preferite, l’estate scandita dal Festivalbar, ma soprattutto il rumore inquietante di un modem 56k. Minuti interminabili per connettersi, secondi scanditi da quel “tuuuuuu tu, tu tu tu tu tu tu tu” sul quale stai ormai iniziando ad improvvisare seconde voci. Il tempo che scorre, il telefono che risulta sempre occupato perché la linea è alle prese con l’Internet; tu che riesci a collegarti, finalmente, ma giusto il tempo di digitare qualcosa in Altavista e scaricare due tre foto, che è ora di chiudere o dovrai vendere casa per pagare la bolletta del telefono.
È in queste condizioni che avremmo dovuto gestirci le nostre relazioni interpersonali se la pandemia avesse deciso di sorprenderci negli anni Novanta e non in quel 2020 già consegnato ai libri di storia. Niente DAD, niente gruppi WhatsApp o Telegram, niente videochiamate con Zoom, webinar, spettacoli in streaming, guide virtuali ai musei sui social, lezioni online di corsi di aggiornamento o professionalizzanti. Niente. I più nerd avevano MSN per chattare, con quei trilli pazzeschi come avvisi e le immagini profilo standard (indimenticabile il pallone da calcio a esagoni blu e bianchi su sfondo erba verde).
Che ne sarebbe stato delle nostre relazioni a distanza in tempo di Corona Virus versione anni ’90?
Delle nostre famiglie lontane, degli amici anche loro chiusi in casa, dei compagni di classe, compagni di squadra, professori, allenatori, amori, amanti? Due minuti per pensarci sono già troppi, dopo trenta secondi mi sale un’ansia da modem 56k che non si spiega. Eccomi, quindi, a tessere le lodi della tecnologia delle comunicazioni in questo anno di (dis)grazia 2020-2021 tra libertà provvisorie, fragilità imminenti e una mazzetta pantoni ridotta al bianco, rosso, giallo, passando per l’arancio e l’arancio rafforzato. Dobbiamo benedire la potenza dell’evoluzione tecnologica, un impianto di architettura e ingegneria che noi comuni mortali non capiremo mai.
Ma va bene così, ci basta sapere che connettendoci, nello spazio di un minuto possiamo vedere il viso di chi amiamo come fosse qui, sentire la sua voce, come cambia di tono, come lo sguardo si fa più cupo o più svagato, percepirlo distratto o presente, interpretarne le smorfie o il corrugare della fronte in modo strano. “Non è la stessa cosa che averlo accanto” dicono… Bhè, grazie a Dio la potenza del contatto fisico non ce la facciamo rubare dalla tecnologia, che non riuscirà mai nemmeno a darci il profumo della primavera, ma rendiamo comunque grazie oggi per quel che ci ha concesso durante il lockdown. Amen.
Non è la stessa cosa… no, le relazioni personali sono fisiche, hanno un profumo, hanno una musica, occupano uno spazio, godono della scoperta e della conoscenza nel tempo, della condivisione di esperienze presenti, vive, e tutto questo non lo baratteremo mai con una videochiamata su Skype. Ma la videochiamata su Skype la vorremmo talmente tanto in certi momenti, da essere disposti a venderci anche pezzi storici della nostra infanzia pur di vedere in viso un amico, i nostri genitori o l’amore, in un tempo di lontananze forzate.
Così la rete che non ha tempo e non ha luogo e vive in una dimensione terza, ci ha concesso di coccolare malinconie e mancanze, ma è stata molto di più a dire il vero.
Webinar, eventi in streaming, classi online di corsi solitamente in presenza, hanno contribuito a creare un nuovo sistema di relazioni e di conoscenze che già i social avevano alimentato attraverso i gruppi e le fanpage.
L’aggregazione online sulla base di passioni e interessi comuni, ha fatto sì che molte persone distanti geograficamente e che forse non si sarebbero mai incontrate in altri tempi, avessero la possibilità di conoscersi, scambiarsi opinioni, ridere insieme, comprendere insieme un concetto, scoprire insieme qualcosa, fare lo stesso percorso, assistere allo stesso svolgersi delle cose, annoiarsi insieme persino. Tutte cose proprie di una qualsiasi relazione personale comune, nata in un bar o in una classe scolastica, al centro sportivo o ad un concerto, ad una riunione di quartiere, in oratorio o in un centro sociale.
Non c’è differenza, cade del tutto il concetto di virtuale nel momento in cui per diversi giorni alla settimana si ha la possibilità di vedere sempre le stesse persone impegnate in un percorso di studi, ad esempio, per lo più riprese nel loro luogo più intimo, la casa, una stanza. Luoghi dai quali spesso ci facciamo un’idea delle persone da un quadro, da un poster, da un soprammobile, dai CD impilati accanto allo stereo, dai libri sulle mensole o dalla mancanza di tutto questo. Si apre zoom e sei nelle case degli altri, e ogni volta che li rivedi per la lezione, per il convegno, per la riunione, inizi a riconoscere se quel giorno sono stanchi o incazzati, se hanno avuto una giornata serena o hanno spalato letame dal mattino come il ragazzo di campagna. E poi iniziate a scherzare, o a diventare seri tutto d’un tratto, e nessuno direbbe che vi siete conosciuti in rete o che prima non ci sia stato almeno un caffè insieme al bar. Non sono meno vere queste relazioni, si nutrono come tutte le relazioni di scambi di parole, battute, opinioni, conoscenze, dubbi, condivisioni.
Ogni scoperta tecnologica è nata da un’esigenza. Questa pandemia ha messo in luce l’esigenza di stare con gli altri, di esserci, di vivere le cose, di continuare a fare, dire, vedere, provare, trovare, anche se il mondo deve per forza fermarsi. Nelle distanze dove il virus non corre, e nel tempo dove il virus non conosce incubazione, le esigenze di prossimità e vicinanza si sono, per molti, colmate; così come la voglia e il bisogno di stare in mezzo agli altri e sentirsi parte di qualcosa.
In tutto questo sono fiorite relazioni nuove e nuovi modi di relazionarsi, quindi basta con questo “virtuale”, non siamo ologrammi, e il peso delle parole e delle espressioni ha valore sempre, anche a distanza. Aveva valore nelle lettere scritte dai soldati a casa in tempo di guerra, dove bisognava immaginarsi la voce e il viso; ha ancora più valore ora che possiamo sostenere uno sguardo con tutto quello che ha dentro, anche se da una webcam.
Ha ragione il filosofo Floridi, docente all’Università di Oxford, non parliamo più di online, chiamiamola Onlife tutta questa cosa delle relazioni e del vivere anche attraverso la rete, che è bella e, appunto, piena di vita.
Articolo della nostra studentessa: Giorgia Magni